Insegnare a pensare nella scuola dell’Infanzia e nella scuola Primaria: si può!

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Questo è l’anno del pensare alla scuola Cocchetti, il primo dei tre anni del nostro PTOF: pensare, fare, sentire. La nostra non è solamente una riflessione su queste tre azioni fondamentali, ma vogliamo intraprendere un cammino di crescita, insieme.

Si può insegnare a pensare a bambini sottoposti a un continuo bombardamento di informazioni e iper-stimolati dalle molteplici attività che svolgono, che vivono a ritmi frenetici, per i quali è praticamente impossibile fermarsi a riflettere? La risposta è sì e vorrei indicare una possibile via, percorribile perché già sperimentata, per insegnare in modo semplice e pratico ai bambini a fermarsi, a pensare prima di agire e poi e riflettere su quanto hanno fatto. Si tratta di una questione di cruciale importanza, che ha a che fare con la capacità decisionale, il pensiero critico, quindi la cittadinanza attiva, il pensiero creativo, quindi l’innovazione, la competitività del nostro Paese a livello mondiale. Si può realizzare, insegnando a scuola ad essere info-competenti.

Negli anni ‘70 del ‘900, un avvocato che si occupava di Copyright, Paul Zurkowski, venne chiamato a trattare il tema dell’uso etico e consapevole dell’informazione in una società in cui le tecnologie iniziavano a pervadere la vita delle persone e fu lui a coniare il termine “Information Literacy”, tradotto in italiano come Competenza Informativa. Erano gli albori di quanto accade oggi, nella società odierna, in cui siamo talmente immersi e sommersi dalle informazioni, tramite TV, Internet, Social di tutti i tipi, che abbiamo casi di sovraccarico informativo (Information Overload) e conseguenti patologie che sono allo studio. Per non parlare della qualità delle informazioni che arrivano a noi e ai nostri piccoli, in ogni momento e senza filtri o quasi, oltre alla questione dell’uso etico delle stesse, quindi al non copiare ma creare nuova informazione e al saper riconoscere le false notizie.

Diventa quindi fondamentale capire come difenderci e fare un buon uso dell’informazione che arriva a noi. Eminenti istituzioni e associazioni lavorano fin dagli ultimi decenni del ‘900 su questa tematica. In particolare, l’UNESCO e l’IFLA[1] collaborano proficuamente. Ma non solamente, anche l’ALA[2], l’Unione Europea, con il Digicomp 2.1 e poi 2.2, l’AIB[3] con le sue linee guida e le molteplici iniziative. Non ultima l’ONU, con l’Agenda 2030 che, in particolare al punto quattro, prevede, in quanto aspetto fondamentale “l’informazione, la disponibilità delle informazioni, la capacità di accedervi, selezionarle ed elaborarle, trasformandole in conoscenza”, ovvero, la competenza informativa. Perché? Per ciò che stavamo dicendo: si tratta di una questione che va decisamente al di là della gestione dell’informazione stessa.

Tutto questo si può insegnare a scuola, secondo alcuni modelli di apprendimento, ovvero, metodologie di insegnamento che si inseriscono nella normale didattica delle classi, promuovendo un apprendimento più attivo, autonomo e collaborativo, quindi motivante, un apprendimento “significativo”, ovvero, che dura nel tempo. L’efficacia di questo percorso è attestata da numerosi studi scientifici, condotti all’estero.

Da qualche anno, ho iniziato ad utilizzare nel processo di insegnamento-apprendimento uno dei modelli per l’acquisizione della competenza informativa, il modello Super3 (Eisemberg e Berkowitz, 1988), con i bambini dell’ultimo anno della scuola dell’infanzia e i primi tre della scuola primaria, con ottimi risultati in termini di apprendimento e motivazione allo studio. Nelle classi quarta e quinta si può proseguire utilizzando il Big6, degli stessi autori, più analitico rispetto al Super3, che ne è semplicemente una sintesi in tre passaggi. Sono partita dal suddetto modello, modificandone alcuni aspetti, come l’utilizzo sistematico di un brainstorming iniziale, l’introduzione dei cinque sensi e dell’esperimento/esperienza pratica tra le fonti di informazione e una valutazione finale anche di tipo emotivo. Fondamentale è la realizzazione a scuola di uno spazio dedicato ai libri, in un locale apposito, quindi una biblioteca, oppure come reading corner negli spazi comuni della scuola, adottando un semplice sistema di catalogazione che i bambini siano in gradi di leggere, ad esempio per colore, dotando la scuola di libri di tipo scientifico, indispensabili nel processo di ricerca.

Il principio è quello di mettere a disposizione dei bambini molteplici fonti di informazione, comprese quelle digitali, quindi usando PC e LIM, ma anche App, come Google Lens, motori di ricerca e programmi, giochi interattivi, video e immagini. Oltre alla maestra, i compagni o eventuali esperti, tutti valide fonti di informazione. Infatti, oramai da qualche anno, siamo passati dalla competenza informativa alla competenza informativa e mediatica, la MIL, all’insegnare anche la competenza digitale, come strumento utile per la ricerca e il percorso di apprendimento, non solamente per il tempo libero, che in nessun modo però può sostituirsi all’esperienza percettiva, indispensabile al formarsi degli schemi cerebrali.

I tre momenti del processo del Super3, ovvero pianificare, fare, revisionare, permettono ad insegnanti e alunni di centrare il problema da risolvere (consegna, bisogno informativo), di organizzare il proprio lavoro prima di iniziare, di individuare le giuste fonti di informazione, di decidere come utilizzarle, per poi passare alla fase di ricerca, in vista della produzione di un lavoro finale, che va revisionato, valutato, in tutti i suoi aspetti: contenuto, forma, impegno, gradimento. Il lavoro di restituzione può essere di diversa tipologia e l’alunno può anche scegliere tra diverse opzioni proposte.

Questo processo può essere applicato a qualsiasi questione, pratica, di studio o di lavoro e a qualsiasi età, rendendo sistematico il pensare prima di agire e il pensare nuovamente al termine del lavoro, come forma di controllo del proprio operato. In questo modo, con il tempo, si insegna ai propri alunni il COME fare le cose, il processo, in vista non solo del loro percorso di studi, ma delle competenze utili alla vita. Si tratta di un percorso che richiede tempo, che non si esaurisce in qualche lezione, né in un anno scolastico, percorso all’interno del quale si possono utilizzare diverse strategie e metodologie di lavoro. Tutto ciò è il presupposto dell’apprendimento permanente e della cittadinanza attiva che UNESCO, IFLA e Unione Europea[4] auspicano per i nostri ragazzi.

 

[1]International Federation of Library Associations

[2] American Library Association

[3] Associazione dei Bibliotecari Italiani

[4] Sia nel Digicomp 2.1 e 2.2, che nel quadro europeo delle competenze chiave per l’apprendimento (2018).



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